Un viaggio alla scoperta dei colori

Le Marche, tra il XIV e il XVII secolo, hanno conosciuto fama e un forte sviluppo economico-sociale grazie al guado (Isatis tinctoria), un’erbacea dalle cui foglie si ricava il colore blu, utilizzato storicamente sia in tintoria che in pittura da pittori come Piero della Francesca e Leonardo da Vinci e dal cui seme, invece, si estrae il pregiatissimo olio cosmetico dalle proprietà emollienti, lenitive e antiossidanti. 
Il guado, unica pianta da cui ricavare il pigmento blu nel Medioevo, a partire dalla metà del Seicento è stato sostituito con l’indaco, più economico, per poi essere nuovamente introdotto nel mercato a inizio 800, grazie a Napoleone, fino alla sua completa sostituzione con nuovi colori artificiali a metà Novecento. 
A testimonianza di questa antica economia e tradizione sono state ritrovate 50 macine da guado in pietra nell’area montana della provincia di Pesaro e Urbino, alcune sono installate e visibili nei borghi di Piobbico, Apecchio e Lamoli, altre vanno cercate davanti alle chiese del Montefeltro, impiegate come basi per croci monumentali. 
Lo scotano (Rhus cotinus), un arbusto alto sino a 3-5 mt, è diffuso in tutto l’appennino marchigiano. Le coltivazioni del passato, chiamate “scotanare” sono state localizzate principalmente nel pesare (Piobbico, Cagli, Acqualagna, Urbino e Fossombrone), nell’anconetano (Arcevia, Fabriano) e nel territorio del maceratese (Serrapetrona, Tolentino). Lo scotano, come il guado, veniva impiegato in tintoria, in quanto vi si estrae il giallo e in associazione con il solfato di ferro si ottiene anche il marrone, il viola e il nero. 

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